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PRESENTATO IL RAPPORTO SULLA COMPETITIVITA' DELL'AGROALIMENTARE ITALIANO

PRESENTATO IL RAPPORTO SULLA COMPETITIVITA’ DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO  

Il Made in Italy agroalimentare si conferma una grande risorsa per l’Italia:

60,4 miliardi di euro il Valore aggiunto agroalimentare (33 mld di euro dell’agricoltura, 27,4 mld dell’industria alimentare)
219,5 miliardi di euro il Valore aggiunto del settore agroalimentare “allargato” (13,5% il peso sul PIL)
753,8 mila imprese agricole e 71mila imprese dell’industria alimentare (in totale, è il 13,5% delle imprese italiane)
1 milione e 385 mila occupati nell’agroalimentare (5,5% degli occupati totali), di cui 913 mila nella fase agricola e 465 mila in quella industriale
41 mld di euro le esportazioni di prodotti agroalimentari
160,1 miliardi di euro la spesa delle famiglie per prodotti alimentari e bevande (15% del totale).

Sono i numeri che emergono dal Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano presentato oggi a Palazzo Wedekind da ISMEA alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio.

Valore aggiunto

L’agroalimentare ha mostrato un’elevata capacità di tenuta negli anni della crisi. Nel 2017 il valore aggiunto corrente delle due fasi della produzione agroalimentare è pari a 60,4 miliardi di euro, con un peso sul totale del 3,9%, rimasto stabile per l’intero periodo, mentre gli altri settori industriali e le costruzioni contraevano il proprio peso economico per effetto della crisi, consentendo così al terziario di guadagnare quote percentuali.
La fase primaria, con un valore aggiunto di 33,05 miliardi di euro, è cresciuta in valore del 3,9% compensando la forte contrazione in volume (-4,4%) mentre la fase industriale, viceversa, con un valore di 27,35 miliardi, ha registrato un peggioramento rispetto all’anno precedente del valore aggiunto corrente (-1,8%), a fronte di un andamento positivo in termini di volumi (+1,7%).

Imprese e occupati

Le oltre 800 mila imprese del settore agroalimentare danno lavoro a 1 milione e 385 mila persone, pari al 5,5% degli occupati in Italia a fine 2017. Di questi la parte più grande (oltre 900 mila) sono gli addetti all’agricoltura, mentre l’industria alimentare assorbe circa 465 mila posti di lavoro.

Esportazioni

Con un valore di 41 miliardi di euro a fine 2017, l’Italia ha raggiunto il suo primato storico e detiene una quota sulle esportazioni agroalimentari dell’Ue (quasi 525 miliardi di euro) pari all’8%. Negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane del settore sono aumentate del 23%, più di quelle dell’Ue (+16%). Mentre è del 68% l’aumento del valore dell’export agroalimentare nell’ultimo decennio.
L’export agroalimentare riguarda il 9,2% del totale export italiano.
Il ruolo del Made in Italy nelle esportazioni del settore primario europeo emerge chiaramente analizzando le prime cinque voci, per le quali l’Italia è leader. Così all’Italia si deve il 35%-36% dell’export europeo di mele e di uva, il 47% di quello di kiwi, il 61% di quello di nocciole sgusciate, il 35% di quello di prodotti vivaistici.
Anche sulle esportazioni comunitarie di prodotti alimentari trasformati l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano. Il nostro Paese, infatti, è il primo esportatore di pasta e di conserve di pomodoro con una quota del 65% circa del valore dell’export Ue; nel caso dei vini e dell’olio d’oliva scende in seconda posizione, incidendo rispettivamente per il 27% e per il 23% delle esportazioni europee; infine, con una quota del 13%, l’Italia è il quarto esportatore Ue di formaggi e latticini.
Guardando ai mercati di sbocco, si evidenzia, in particolare, il successo competitivo su Paesi a domanda più dinamica come Bulgaria, Lettonia e Romania. Progressi importanti si sono registrati in Ucraina, Brasile, Marocco; positivi, ma meno significativi, gli aumenti della quota italiana in Australia, Stati Uniti, Canada, Argentina e Cina.

Catena del valore nella filiera

Per ora, i numeri che emergono dall’analisi della catena del valore continuano a confermare forti squilibri nella distribuzione del valore lungo la filiera.
Su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, ne rimangono appena 22 come valore aggiunto ai produttori agricoli i quali, con quel valore, devono coprire gli ammortamenti e pagare i salari, ottenendo come utile 6 euro, contro i 17 euro che rimangono in capo alle imprese del commercio e del trasporto.
Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, dove la filiera si complica ulteriormente, l’utile in capo all’imprenditore agricolo, su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di beni alimentari, è inferiore ai 2 euro.
Non migliore è la situazione per l’imprenditore del settore della trasformazione alimentare: in questo caso, infatti, la maggiore quota del valore aggiunto è assorbita in misura più che proporzionale dai salari e altrettanto compresso risulta il reddito netto d’impresa, che ammonta a solo 1,6 euro; ben diversa la remunerazione netta per gli imprenditori dell’aggregato del commercio, distribuzione e trasporto che si mantiene a 11 euro.

Qualità e biologico

Sono 818 le denominazioni italiane registrate a fine 2017 (295 Food e 523 Wine, primato mondiale) per un valore della produzione del segmento Food IG pari a 6,6 miliardi di euro nel 2016.
Per ciò che concerne il settore biologico si registrano 1,8 milioni di ettari di superficie biologica nel 2016 (+37% rispetto al 2013) e 72 mila operatori certificati (+38% rispetto al 2013).

Diversificazione

Con un valore di 4,5 miliardi di euro delle attività secondarie agricole, come l’agriturismo, le vendite dirette e la produzione di energie rinnovabili, quella italiana si rivela l’agricoltura più multifunzionale d’Europa. Alla fine del 2016 si contavano 22.661 strutture agrituristiche in Italia, quasi 5.000 in più rispetto al 2007 e uno stock in costante crescita negli anni, con un lieve rallentamento solo nel biennio 2012-2013, quando la crisi economica e il riordino della normativa a livello regionale hanno inciso anche sullo sviluppo di questo settore. Sono segnali di vitalità importanti per il settore primario nazionale – ha sottolineato ISMEA – che rivelano una crescente diffusione di imprese che oltre alla capacità di integrare le fonti di reddito, riescono a cavalcare i cambiamenti del contesto sociale ed economico. Il fenomeno della diversificazione ha avuto, infatti, un impatto non trascurabile sulla tenuta del valore aggiunto agricolo nell’ultimo decennio.

Conclusioni

L’agroalimentare è settore che, in particolare nella sua componente agricola, ha mostrato una grande tenuta economica e sociale nel corso della crisi e una buona capacità di ripartire per agganciare la ripresa.
Restano tuttavia forti squilibri strutturali della filiera agroalimentare, dove la componente produttiva (imprese agricole e industriali) risulta pesantemente penalizzata, con margini molto (troppo) compressi rispetto a quelli della logistica e della grande distribuzione.

Prospettive

A medio termine l’evoluzione della domanda globale di alimenti appare molto aderente alle caratteristiche dell’offerta di prodotti made in Italy. A breve termine, la crisi della globalizzazione e i rischi di deriva neo-protezionistica, di recente alimentata dalla guerra dei dazi tra USA e Cina, possono danneggiare l’agroalimentare italiano.
In un mondo più protezionista, dove si esporta con più difficoltà e dove si importa a costi maggiori, il Made in Italy agroalimentare avrebbe più da perdere che da guadagnare.
In tale contesto, per rilanciare l’agroalimentare italiano ha bisogno di rafforzare le politiche per la ripresa degli investimenti, il cambio generazionale, la regolazione dei mercati per riequilibrare i rapporti di filiera e favorire l’aggregazione dell’offerta, la gestione dei rischi, l’accesso al capitale fondiario.

BUONI SPUNTI PER LE BANCHE…

Un settore, quello agricolo e agroalimentare, in crescita lenta ma costante e con imprese che investono in strutture e tecnologie anche in relazione ad incentivi regionali e nazionali per i settori.
Diviene pertanto sempre più importante, per la creazione di impieghi, dare sostegno attivo al settore. Per le Banche sarà importante sviluppare l’analisi delle filiere territoriali di insediamento e attivare percorsi di sostegno alle aziende per i diversi ambiti di sviluppo (innovazione, ricerca, mercati internazionali, investimenti strutturali etc..).
Con il supporto di BIT SPA le Banche possono dar vita ad un percorso di approfondimento delle conoscenze e all’attivazione di rapporti commerciali per favorire la crescita delle imprese sul mercato.

BIT in particolare può fornire la propria competenza per:

Analisi economico-finanziaria e gestionale delle imprese;
Consulenza per lo sviluppo di investimenti in azienda che ne accrescano la capacità competitiva;
Consulenza per lo sviluppo di Progetti di Filiera;
Consulenza per l’aggregazione di imprese in modo da renderle più competitive sul mercato;
Consulenza per lo sviluppo del settore biologico;
Consulenza per progetti di efficienza energetica, impianti per la produzione di energie rinnovabili nelle aziende;
Consulenza per progetti di diversificazione attività agricola.

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