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Tra i pochi effetti positivi, forse l’unico, della crisi scatenata da Covid-19 ci sono una sensibile riduzione dell’inquinamento atmosferico e delle emissioni di CO2. Fabbriche chiuse, lavoratori in smart working e traffico delle grandi città quasi azzerato da settimane hanno sicuramente fatto bene all’ambiente e all’aria che respiriamo.
Covid-19 sta insomma dimostrando che alcune abitudini che consideravamo impossibili da realizzare possono tranquillamente essere messe in discussione.
Possibile che questa svolta verde, per quanto obbligata, diventi parte anche della “nuova normalità” alla quale l’intero Pianeta sta andando incontro? Possiamo sperare che il coronavirus possa creare le condizioni di una svolta verso fonti di energia più sostenibili? Se lo stanno domandando diversi studiosi ed esperti nel campo.

L’APPROCCIO NORDEUROPEO. Tra questi Faith Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, creata negli anni Settanta per coordinare le politiche energetiche dei Paesi membri: in una recente intervista ha spiegato come energia pulita, fonti rinnovabili e trasformazione green del mondo del lavoro debbano diventare parte integrante dei piani dei governi per rilanciare l’economia nella ripresa post-coronavirus.
Ma come la prenderanno consumatori e aziende? Saremo davvero tutti felici di abbracciare nel lungo periodo le nuove abitudini e i nuovi paradigmi economici dettati da Covid-19?
Secondo Torbjørn Knutsen, politologo alla Norwegian University of Science and Technology giocherà un ruolo fondamentale il consenso nei confronti dei governi.
In Paesi come la Norvegia, dove la politica e i governanti godono di alta credibilità da parte di cittadini e imprese, questa transizione verso nuovi modelli di lavoro e vita quotidiana potrebbe avere luogo. Ma potrebbe accadere anche in Paesi non propriamente liberali come la Cina, dove è l’apparato politico a decidere e ai cittadini non resta che accettare le decisioni.

CORONAECONOMY. Più difficile, secondo l’esperto, realizzarla in Paesi come gli Stati Uniti dove la classe politica non gode di particolare stima.
Per i Paesi occidentali la crisi da coronavirus sarebbe da cogliere al volo per spingere in maniera decisa sulla transizione a un’economia nuova e più attenta all’ambiente.
È chiaro che la prossima priorità delle nazioni, una volta risolta o almeno tamponata la crisi sanitaria, sarà quella di risollevare l’economia e tutelare i posti di lavoro. E in tutto questo l’ecologia sembra non trovare molto spazio.

IL RUOLO DEL PETROLIO. Eppure, secondo l’accademico, proprio la svolta green potrebbe essere un fattore di accelerazione della ripresa. Nelle ultime settimane, complice il forte calo della domanda e lo stralcio di alcuni accordi internazionali, il prezzo del petrolio è crollato. E potrebbe rimanere basso a lungo anche dopo la fine della fase più acuta dell’emergenza.
Il sistema dei trasporti delle persone, per esempio, primo tra tutti quello aereo, subirà un drastico ridimensionamento: i viaggi di lavoro saranno sempre più spesso sostituiti da videoconferenze e il turismo non tornerà a breve ai volumi di prima. Per questo motivo le competenze nella produzione di energia potranno essere trasferite dal settore petrolifero a quello delle rinnovabili, stimolando gli investimenti e salvando così posti di lavoro e aziende. Almeno in Europa.

Fonte: Focus.it

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